BRICHERASIO. Alla fiera di Torre Pellice, un
professore universitario di Milano si è fermato ad osservarlo a lungo mentre
intrecciava i rami di salice per dar vita ad una cesta, poi, accorgendosi della
sua abilità gli ha mostrato una fotografia. Un reperto archeologico, una sorta
di cestino dalla forma particolare, e gli ha chiesto di realizzarne una
identica, da esporre in un museo milanese.
Giuseppe Beltramo l’ha finita nei giorni scorsi. «Era un
oggetto strano – dice – a forma di “pavesino”, molto sottile, con un manico
lungo il lato più lungo. Quel professore mi ha spiegato che l’originale,
piuttosto malconcio, era stato rinvenuto durante uno scavo archeologico, era la
prima di quel genere. Ne ha voluta una identica per spiegare ai suoi studenti
com’era fatta e quale poteva essere il suo uso originale. Ha detto che io sarei
stato in grado di realizzarla».
“Beppe” Beltramo è un uomo semplice, bonario e sorridente,
un uomo “di campagna” come si può capire semplicemente osservandogli le mani.
Vive a Bricherasio, ma è originario di Cavour. Lì, in frazione San Giacomo, è
nato 65 anni fa. Ha fatto il contadino, ha lavorato qualche anno in fabbrica,
poi in comune a Bagnolo Piemonte. Nel Pinerolese lo conoscono tutti, però, come
il “cavagnè”. La sua presenza è immancabile alle fiere e alle feste di paese,
non solo nell’area attorno a Pinerolo, ma anche nel Saluzzese e nel resto della
provincia di Torino.
«Quando ero ancora bambino – racconta – ammiravo mio padre
Michele. Lo osservavo quando si costruiva le ceste di vimini. A quei tempi
tutti lo sapevano fare. Così ho imparato anch’io quell’arte. Poi il lavoro mi
ha portato da altre parti, ma dal 1998 ho ripreso a costruire ceste, scope,
rastrelli e oggetti in vimini». Per diversi anni ha fatto parte del gruppo dei
“Vaj mestè” di Barge, ma da un po’ di tempo gira mercati e fiere per conto
proprio, accompagnato solamente dalla moglie Lucia, che si diletta nell’arte
della maglia».
La perizia e la precisione nel lavoro di Beltramo sono ormai
un suo marchio di fabbrica. Proprio per questo è particolarmente apprezzato e
ricercato in zona. «Ormai quelli che fanno i cavagnè si contano sulla punta
delle dita – spiega Beppe -. Io sono orgoglioso di saper maneggiare quest’arte.
Non guadagno molto, è una passione, ma la soddisfazione più grande è realizzare
qualcosa con le mie mani e sentire le parole di apprezzamento di giovani e
anziani che si fermano ad osservarmi per qualche minuto».
Una cesta non nasce mai per caso. Alle spalle ha un lavoro
di ricerca e di precisione. «Ogni settimana esco in campagna per cercare rami
di salice, sempre quando c’è la luna calante – racconta il cavagnè – poi li
pulisco, li raccolgo in fasce e, quando devo fare una cesta, li ammorbidisco in
acqua per una settimana. Ogni gerla e ogni oggetto che realizzo ha una storia,
un particolare che la rende unica. Ma le più belle, per me, restano quelle per
la raccolta delle mele, con il manico robusto, l’orlo elegante e il
rivestimento di juta interno. Mi ricordano la terra da cui provengo. Non ha
caso conservo ancora una cesta che ha oltre 50 anni. l’ho fatta io, quando ero
un ragazzo».
(Devis Rosso, La Stampa, 13 gennaio 2013)
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