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sabato 12 gennaio 2013


Giovedì 17 gennaio saranno trascorsi 70 anni dall'inizio della Ritirata di Russia. Una tragedia che segnò le sorti di migliaia di alpini. Dei circa 15mila al fronte fecero ritorno a casa dalle steppe del Don solamente in 2900. 
Sulla Gazzetta di Saluzzo di questa settimana due pagine dedicate alla tragedia della Cuneense e l'intervista al reduce saluzzese Domenico Dellerba.

Domenico Dellerba osserva il suo cappello alpino. Non è quello che indossava 70 anni fa in Russia, quello l’ha smarrito. Gli occhi non cadono sulla penna nera o sul panno verde, ma su quella medaglia, bianca, col nastrino bianconero. La fissa con insistenza, gli occhi diventano lucidi. Nella testa le immagini passano veloci, ma indelebili.
«Penso a quei giorni e mi sento male, ancora oggi a settant’anni di distanza - racconta -. Perché chi ha parlato molto ha visto poco. Chi davvero era lì, in mezzo ai morti e al dolore, si è sempre rifiutato di raccontare tanta tragedia e sofferenza».
La croce bianca appuntata sul cappello è la “medaglia di ghiaccio”. Sul retro sono riportate l’acronimo Csir (contingente italiano in Russia), le date 1941 e 1942, e i luoghi: Dnepr, Donest, Don.
Oggi Domenico Dellerba, originario di Castellar, da tempo residente a Saluzzo, ha 90 anni. È l’ultimo saluzzese reduce dal fronte russo.
«Avevo 20 anni nell’estate del ‘42. Dopo l’addestramento a Borgo San Dalmazzo, sono stato destinato al fronte russo. Pensavamo alle montagna, ci ritrovammo in pianura. Fino a dicembre fu semplice. Controllavamo il fronte, poi a gennaio la situazione precipitò. Se avessimo ripiegato anche solo il giorno precedente il 17, avremmo subìto molte meno perdite».
Lei era in prima linea quando venne dato l’ordine di ritirata?
«Sì, fummo tra gli ultimi a partire. Ero nel Battaglione Saluzzo. Impiegammo due settimane per uscire dalla sacca. I russi ci avevano accerchiati,di giorno si marciava sotto l’artiglieria, di notte venivamo attaccati dai partigiani. Ho perso tutti gli amici, non ho mangiato per oltre dieci giorni. Poi ci è stata data una pagnotta: eravamo in sedici. Eravamo sfiniti. Di notte i russi ci lasciavano entrare nei piccoli villaggi in cerca di rifugi, poi attaccavano prima dell’alba. Un giorno, sbandato, finii in un gruppo di case occupato da tedeschi in ripiegamento. Mi cacciarono fuori, così mi rifugiai in un letamaio, l’unico luogo dove poter tenere i piedi al caldo. Sentìi gli spari nel cuore della notte. Erano i russi, uccisero tutti quelli che erano nelle dacie».
Oltre all’armata russa dovevate combattere anche il freddo…
«Quando si alzava la tormenta era impossibile andare avanti. Il freddo ti entrava nelle ossa. Si avanzava di 200 metri all’ora. Ma la cosa peggiore erano i piedi. Quanti ne visti congelati. Una notte fummo svegliati e costretti a fuggire. Gli scarponi erano due pezzi di ghiaccio, inutilizzabili. Così avvolsi i piedi nudi in stracci e stoffe. Non li misi più fino a marzo. La neve era asciutta. Gli stracci riparavano più delle scarpe, dure, che procuravano tagli e  piaghe».
Sulla ritirata sono state scritte molte pagine. Ma restano ancora tanti vuoti. Perché?
«Dopo la guerra tutti volevano sapere cosa era successo in Russia. Chi aveva combattuto con la baionetta, visto la morte in faccia decine di volte come me non aveva voglia di parlare. Non si era più persone. Elemosinai un tozzo di carne da alcuni alpini della Tridentina che avevano trovato un piccolo maiale. La mangiai cruda, con avidità. Per interi giorni mi nutrii solo di neve e pochi cucchiai di minestra. Uscii dalla sacca russa solamente il 5 febbraio. Negli occhi avevo le immagini di centinaia di cadaveri, feriti, corpi straziati».
Lei porta sul cappello la medaglia di ghiaccio. Cosa rappresenta?
«Alle adunate capita di incontrare reduci di Russia che hanno questa onorificenza. Basta uno sguardo per capirci. Fu il generale Battisti ad inviarla a chi, sul Don, aveva combattuto in prima linea. Scelse i nomi con cura, la concesse a chi aveva davvero visto la tragedia del ripiegamento. È un onore oggi mostrare questa medaglia, ma anche un segno che fa ripiombare in quei giorni da incubo».

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